Roma capitale nella Repubblica. Le istituzioni, i luoghi di memoria, i simboli, le rappresentazioni

Lungo l’arco della storia repubblicana, il discorso su Roma capitale ha sovente enfatizzato l’assenza di progettualità, coesione sociale, cultura del bene comune, vocazione al cambiamento di una città spesso considerata lo specchio dei mali della nazione, se non proprio la piaga in grado di infettare il resto del paese.
Schiacciata tra la complessità della sua stratificazione plurisecolare, da un lato, e dall’altro le attese palingenetiche di rigenerazione urbana legate alla rinascita democratica e al persistere di una cultura trasformativa della “città-progetto” di impronta otto-novecentesca (nei decenni postunitari dell’Italia umbertina prima, poi nella pietrificazione della capitale operata dall’ideologia fascista), Roma ha spesso rappresentato, nel confronto pubblico e nell’orizzonte dei conquistati valori di libertà, l’immagine di tutto ciò che la città avrebbe potuto essere e non è mai stato. Un’immagine, questa, poco idonea tuttavia a catturare la complessità e la ricchezza di una politica cittadina che la democrazia repubblicana – nella sua incerta e partecipata evoluzione storica – avrebbe contribuito a strutturare in forme sempre più plurali e culturalmente articolate, e per questa ragione anche intrinsecamente contraddittorie e conflittuali.
Nel momento in cui riparte la discussione legislativa sull’auspicata attribuzione a Roma capitale di un suo autonomo statuto, serve riflettere sul rapporto tra la città e la Repubblica – intesa come insieme di valori sociali, civili e politici, pratiche di governo, simboli, luoghi e memorie, lungo un arco storico degli ultimi 80 anni, abbracci il presente e il futuro di Roma capitale politica e culturale dell’Italia democratica.

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